Con ricorso depositato davanti al Giudice del Lavoro di Bologna, il signor XY aveva esposto che gli era stato intimato il licenziamento per giusta causa.
All’origine della sanzione espulsiva vi erano gravi fatti contestati al ricorrente nel procedimento penale n. 00/00 attivato presso la Procura della Repubblica di ZW, nell’ambito del quale il ricorrente veniva accusato di aver commesso il reato di cui all’art. 317 c.p.
Impugnato il licenziamento con provvedimento d’urgenza, il ricorrente ne contestava la legittimità, sia per essere stato violato il proprio diritto di difesa, sia per l’assenza dell’accertamento degli addebiti in sede penale, che rendeva gli stessi caratterizzati da incertezza e ancora insussistenti, fino a prova contraria e che non consentiva, pertanto, di porli a base del licenziamento; in terzo luogo deduceva l’indeterminatezza dei fatti contestati e la conseguente mancanza di motivazione del provvedimento espulsivo; ancora, censurava la non tempestività della contestazione rispetto ai fatti dedotti.
Si costituiva controparte chiedendo il rigetto del ricorso; il Tribunale, dopo aver sentito il teste indicato, poneva la causa in decisione e concludeva la fase sommaria, con il rigetto del ricorso e la compensazione delle spese.
Il signor XY proponeva opposizione e il Tribunale respingeva il ricorso, escludendo la sussistenza di una pregiudiziale penale e che la decisione era fondata sulla deposizione del teste, ossia su un elemento che fa piena prova in giudizio, in quanto assunto in autonomia rispetto al parallelo procedimento penale.
L’opponente veniva altresì condannato al pagamento delle spese processuali.
Il soccombente in primo grado proponeva reclamo, richiamando tutte le difese svolte e non accolte in primo grado, contestando in particolare la tempestività della contestazione, la sua determinatezza, il rispetto del diritto di difesa, la sussistenza dei fatti addebitati, l’attendibilità del teste chiave e il difetto di proporzionalità tra la violazione contestata e la sanzione irrogata.
Ricostituito il contraddittorio, con la costituzione della società datrice di lavoro, LA Corte d’Appello così decideva.
Premessa: i fatti oggetto dell’addebito disciplinare da cui è scaturito il licenziamento sono esattamente i medesimi trattati nel procedimento penale.
E’ esclusa bensì una c.d. pregiudiziale penale, ma il giudicato che intervenga nel processo penale ha diversa rilevanza, a seconda del contenuto (Cassazione Civile, Sez. Lavoro, 18.08.2020 n. 17221).
Nel caso di specie non solo le contestazioni disciplinari sono proprio e solo quelle del capo d’imputazione, ma l’assoluzione si fonda sulla ritenuta insussistenza dei fatti storici.
Ancora, la sentenza penale è tanto sintetica, quanto chiara, nell’affermare l’insussistenza del fatto, che dunque non può ritenersi adozione impropria di una formula assolutoria non corrispondente alla motivazione: “………Ciò precisato, va, tuttavia, osservato che dall’espletamento dell’istruttoria non sono emersi riscontri in tal senso, quanto piuttosto elementi che contribuiscono a dimostrare l’infondatezza nel merito dell’ipotesi accusatoria…”.
Le dichiarazioni del teste assunto, non hanno consentito di far ritenere provata l’ipotesi accusatoria formulata, che non ha trovato riscontro neppure nella documentazione in atti.
Queste argomentazioni hanno portato a ritenere infondata l’ipotesi accusatoria mossa all’imputato con conseguente assoluzione del medesimo per insussistenza dei fatti.
L’argomento in questione pertanto assorbe ogni ulteriore indagine, dovendosi ritenere precluso l’esame della sussistenza e rilevanza degli addebiti sotto il profilo disciplinare, a nulla rilevando la diversa consistenza del materiale probatorio raccolto nel giudizio civile, né la mancata costituzione della società datrice di lavoro quale parte civile in quella sede: il giudicato infatti ha riguardo al fatto storico contestato e non permette una sua diversa valutazione.
Il licenziamento deve conseguentemente essere dichiarato illegittimo, con quanto di conseguenza, in ordine alle tutele; la reintegra del lavoratore nel posto di lavoro e il pagamento in suo favore di una somma corrispondente a dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre alla regolarizzazione previdenziale e assistenziale.
Quanto alle spese di lite, l’opacità del contesto in cui si colloca la vicenda e la stessa rilevante difformità del materiale probatorio disponibile nell’una e nell’altra sede giudiziale, costituiscono eccezionali ragioni idonee a legittimare la compensazione integrale delle spese processuali, giusto quanto indicato dalla Corte Costituzionale (Sentenza 19.04.2018 n. 77).